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dom 11 mag 2008
La critica di Umberto Gandini e Roberto Rinaldi

"Gran finale per lo Stabile,'nella palude di Sinigo un Castelli da ovazioni"
di Umberto Gandini



BOLZANO. «Sinigo» è una storia di colonizzazione narrata dalla parte dei coloni,quelli che negli anni Venti dello scorso secolo vennero in Alto Adige da molte parti d'Italia ma soprattutto dal Veneto, attratti dalle promesse del fascismo. Il regime di allora voleva "italianizzare" il Sudtirolo, ma ai coloni interessavano soprattutto quella terra e quel lavoro che a casa loro non c'erano in misura sufficiente. Affluirono con molte speranze e voglia di far fortuna, molti se ne tornarono delusi da dov'erano venuti, relativamente pochi rimasero pagando con stenti e sofferenze le terre che furono loro date a mezzadria dall'esosa Opera Nazionale Combattenti e che, assai più che "liberate e redente", erano piene piene d'acqua: perché Sinigo, frazione di Merano, era in quegli anni più che altro una palude.
Chi vuole conoscere meglio e gradevolmente questa pagina di storia altoatesina
può andare a vederla narrata nella sala piccola del Teatro Comunale di Bolzano dove è in scena lo spettacolo «Sinigo - L'acqua ci correva
dietro» scritto dal meranese Andrea Rossi che lo Stabile altoatesino ha meritoriamente allestito e con il quale conclude la sua stagione. il testo di Rossi, innanzi tutto. La prima parte, quella centrata propriamente sull'incubo dell'acqua, è assai bella, con momenti di scrittura decisamentEi alta: il dialogo in cui Andrea Castelli si sdoppia - addossandosi i ruoli del maestro Aristide e del colono veneto Vittorio e saltando con disinvoltura dalla lingua al dialetto
- è denso, avvincente e commovente. Senonché Rossi non si è limitato all'acqua, ma ha voluto rievocare tutta la storia delle origini della moderna
Sinigo, e quindi nella secondaparte il pubblico apprende della nascita dello stabilimento chimico della Montecatini, dei tragici incidenti che vi si verificarono, dei bombardamenti che, subì durante la guerra. C'è troppa carne al fuoco, e una parte di questa carne risulta poco cotta: c'è parecchio superficiale patetismo accompagnato da qualche luogo comune, come i begli occhi e le belle gambe d'una infermiera.
I molti pregi del testo e i suoi pochi difetti sono nell'un caso esaltati e nel secondo corretti e sfumati da una regia veramente eccellente, quella di Antonio Caldonazzi.
Per movimentare il lungo monologo ha inventato di tutto, dalle pozze d'acqua vera in scena ai giri in bicicletta che fa fare a Castelli; lo ha corredato di suggestive musiche d'epoca; ha suggerito all'interprete gesti, movimenti e scatti intelligenti a sostegno delle parole, ha sfruttato al meglio il cubo rotante che costituisce l'elemento più vistoso della bella scena di Roberto Banci.
Infine l'interpretazione di Andrea Castelli: davvero straordinaria, tale da strappare più volte applausi a scena aperta per l'intensità del suo dire, per la fluida e pacata disinvoltura con cui passa da un personaggio all'altro, per l'umanità degli occhi sgranati e delle mani sfarfallanti che aggiungono emozioni non dette al copione.
Merito principalmente suo se lo spettacolo risulta così trascinante da strappare infine agli spettatori le vere e proprie ovazioni finali.

www.teatro.org

SINIGO. L’ACQUA CI CORREVA DIETRO

Regia: Antonio Caldonazzi
Compagnia/Produzione: Teatro Stabile di Bolzano
Cast: Andrea Castelli

La recensione di Roberto Rinaldi

E’ una storia d’immigrazione, anzi di colonizzazione, quella raccontata in “Sinigo. L’acqua ci correva dietro” di Andrea Rossi, ultima produzione del Teatro Stabile di Bolzano che chiude la sua stagione “La Grande Prosa” e “Altri Percorsi” di cui fa parte questa pièce messa in scena dal regista Antonio Caldonazzi e interpretato da Andrea Castelli. Un lungo monologo a “due voci” interpretate dall’attore d’origini trentine, qui ad una prova assai ardua superata a pieno, confermandosi un attore capace di caratterizzare i suoi ruoli. Va dato merito allo Stabile di Bolzano di aver saputo rischiare con un testo difficile, scritto da Rossi, il quale si è avvalso di fonti storiche, ma non collocabile in un contesto drammaturgico- teatrale collaudato. La vicenda risale al 1920. Il fascismo considera questa zona dell’Alto Adige, una zona depressa da italianizzare, bonificare, industrializzare, e spinge le popolazioni dell’Italia centrale ad emigrare fino a Sinigo “piccolo regno autartico ed autosufficiente, stretto intorno alla sua fabbrica (la Montecatini che produceva sostanze tossiche e velenose) e alla sua terra, che non si mescola con nessuno, neppure con la vicina Merano”, città turistica dell’alta borghesia famosa per aver ospitato regnanti, scrittori e artisti celebri. Andrea Castelli interpreta i due volti di questa colonizzazione: un maestro elementare arrivato dalla Lombardia e un contadino veneto, uniti da una vicenda sul cui sfondo si sta per materializzare la guerra mondiale. Uomini in cerca di fortuna (“i migliori figli della rivoluzione fascista”) vessati da un regime che li sfrutta e li costringe a vivere in ristrettezze economiche. Andrea Castelli tratteggia i due personaggi con abilità e li rende carichi di passioni, di ideali, intrisi di amarezza e delusioni che s’infrangono, è il caso di dirlo, sulla terra piena d’acqua di Sinigo realizzata da un’efficace e ben congeniata scena disegnata da Roberto Banci. Il maestro Aristide diventa operaio per sfuggire all’arruolamento e il colono Vittorio parlano rispettivamente l’italiano e il dialetto veneto, sanno emozionare il pubblico con le loro storie così dense di povertà e di guerra, di sofferenza e di speranze mal riposte. “Mi piace bussare alla porta della verità. Ho scelto – dice Aristide – di essere un mulo e non un asino”, quando spiega la sua condizione di vita che lo porta ad andare a vivere nella casa del contadino, provato dalla nostalgia per la sua terra padana. La regia di Caldonazzi sa vivacizzare un testo (che a tratti risulta troppo carico di citazioni storiche, rindondante nella lettura di brani originali), fa muovere l’attore con guizzi veloci e veri colpi di scena: pozze d’acqua in scena, in sella alla bicicletta percorre tutto la scena del Teatro Studio. Una casa che ruota su se stessa, quasi una prigione soffocante e sinistra, un grammofono diffonde musiche originali dell’epoca. L’acqua ti corre dietro per tutto lo spettacolo, ma corre soprattutto per la straordinaria prova d’attore di Andrea Castelli.

Roberto Rinaldi

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